L’acqua sprecata della nostra rete idrica (Dacia Maraini)

30 novembre 2020

Segnaliamo questo articolo a firma Dacia Maraini sul Corriere della Sera. Segue link: https://www.corriere.it/opinioni/20_novembre_23/acqua-sprecata-nostra-rete-idrica-00b475d8-2d79-11eb-b83d-41802abb4d33.shtml


Un salto di qualità, coerente con il pronunciamento referendario (di Paolo Carsetti)

30 novembre 2020

Gli articoli di Alex ZanotelliEmilio Molinari, Dacia Maraini e del Presidente della Camera Roberto Fico, apparsi nei giorni passati su il manifesto e sul Corriere della Sera, riaprono la discussione sul tema dell’acqua bene comune e sulla ripubblicizzazione del servizio idrico, a partire dalla legge nazionale che dovrebbe promuoverla e che giace da legislature alla Commissione Ambiente della Camera.

A seguito della risposta del Presidente Fico, ci pare necessario mettere alcuni punti fermi. Intanto, occorre avere chiaro che la legge che uscirà dal Parlamento non è questione legata ai rapporti tra le forze politiche e neanche tra queste e il movimento per l’acqua. Essa dev’essere vincolata all’espressione della volontà popolare, così come uscì dall’esito vittorioso ma sempre contraddetto dei 2 referendum sull’acqua pubblica. L’abrogazione dell’obbligo alla privatizzazione del servizio idrico e l’abolizione dalla tariffa della «remunerazione del capitale», cioè un rendimento minimo garantito, ha un significato politico inequivocabile: il servizio idrico va ripubblicizzato. Ciò significa che la sua gestione deve essere pubblica e va realizzata senza profitti, in una logica di equilibrio tra costi e ricavi, quella che si garantisce unicamente con le aziende speciali, aziende pubbliche ma non società per azioni, perché anche quelle interamente a capitale pubblico sono comunque soggetti costituiti «per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili» (art. 2247 del Codice Civile). Una scelta contro la logica delle privatizzazioni, proseguita anche dopo i referendum, le cui protagoniste sono in primo luogo le «4 grandi sorelle», IREN, A2A. HERA e ACEA, società multiservizio quotate in Borsa.

La gestione pubblica attraverso Aziende speciali è l’ispirazione di fondo della proposta di legge che ha come prima firmataria l’On. Daga del M5S, che non a caso riprende e attualizza alla luce dei risultati referendari i contenuti della proposta di legge di iniziativa popolare promossa ancora nel 2007 dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, forte di oltre 400mila firme. È perciò evidente che sull’acqua pubblica non si può fare una legge qualsiasi, che magari confini il ruolo «pubblico» alla pianificazione della risorsa e degli investimenti attraverso l’istituzione di un’agenzia statale, eludendo il nodo fondamentale che rimane quello della gestione del servizio idrico. Va aggredito, a nostro avviso, il tema per cui la proposta della legge Daga è sostanzialmente ferma dall’inizio della legislatura, da quando è stata presentata: con il governo gialloverde è andato in onda il boicottaggio di tale proposta, con una campagna allarmistica, smentita dal nostro dossier, su ipotetici costi esorbitanti della ripubblicizzazione promossa dall’associazione dei gestori, Utilitalia, spalleggiato dalla Lega e non ostacolato a sufficienza dal M5S. Poi, con il governo giallorosa, gli attori sono cambiati, ma il risultato rimane lo stesso: il PD continua a osteggiare une reale gestione pubblica del servizio idrico e il M5S si è chiuso in un assordante silenzio sulla vicenda.

Ben venga, dunque, l’iniziativa del Presidente della Camera perché la legge riprenda il suo iter. A riguardo confermiamo la nostra disponibilità al confronto con tutti i soggetti interessati.
Serve un salto di qualità da parte delle forze politiche di governo in direzione della coerenza tra legge da approvare e contenuti del pronunciamento referendario. A ciò si dovrebbe aggiungere, in tema di utilizzo delle risorse del Recovery Fund, il varo di un grande Piano di ristrutturazione delle reti idriche del Paese, che hanno il primato del 40% di dispersione: ciò può costituire uno dei tasselli per far avanzare un’idea di messa in sicurezza del territorio e di conversione ecologica del modello produttivo e sociale. È logico, però, che non si può agire «socializzando le perdite e privatizzando i profitti», con il solo stanziamento di risorse pubbliche a favore di soggetti privatistici che continuano a realizzare forti profitti e distribuire lauti dividendi ai propri soci.

In tanti, in questa situazione di pandemia, affermano che bisogna produrre una svolta: il tema dell’acqua pubblica può essere efficace per verificare se si vuole andare in questa direzione o se le belle parole nascondono l’idea che si può tornare semplicemente alla normalità di prima, se non peggio.


L’acqua pubblica è la prima stella del Movimento, il cuore dei beni comuni (risposta di Roberto Fico – dal Manifesto del 21.11.20)

28 novembre 2020

Ho letto con attenzione l’appello firmato da Emilio Molinari su questo giornale. Un appello chiaro che mi chiama in prima persona a intervenire su un tema fondamentale per la mia storia, per quella del Movimento, e per la fase che stiamo vivendo, nella quale inevitabilmente siamo portati a sentire ancora di più, dentro di noi, il valore inestimabile dei beni pubblici e dei beni comuni e, più in generale, l’importanza delle sfide – ambientali, sociali ed economiche – che siamo chiamati a fronteggiare.

Ho affermato più volte che lego questa legislatura all’approvazione di una legge sull’acqua pubblica. Una legge su cui la politica, il Parlamento, sono gravemente in ritardo. Sono infatti trascorsi dieci anni da quel giugno del 2011 in cui 26 milioni di italiani votarono “sì” ai due quesiti promossi dal comitato Acqua Bene Comune. All’affermazione netta di quella volontà popolare non è stato ancora dato seguito. Ma il lavoro sul tema è stato costante da quando è iniziata questa legislatura, che ha visto anche l’avvicendamento di due governi.

Un percorso di confronto parlamentare, complesso e con posizioni di partenza molto differenti, era stato avviato durante il primo governo Conte. Si giunse a un primo e informale schema di riforma, che in parte guardava al modello francese, superando il modello delle concessioni, e che si fondava su un’architettura a cascata, in cui lo Stato prendeva in mano le redini della pianificazione degli investimenti e della gestione del servizio idrico integrato dal livello nazionale (attraverso un’apposita agenzia) a scendere sui territori, attraverso gli enti di gestione d’ambito.

Il tema dell’acqua pubblica è stato poi inserito fra i punti programmatici del nuovo governo ma la riforma non è decollata. È stata prima stretta fra emergenze e altre priorità e, successivamente, l’avvento della pandemia ha di fatto stravolto l’agenda dei provvedimenti legislativi.

Alcuni tasselli sono stati tuttavia messi. Non appariscenti e definitivi come la necessaria riforma “madre”, ma comunque importanti. Penso, su tutti, all’avvio del piano nazionale per il settore idrico alimentato da risorse non marginali. E ai due interventi normativi che, in successione, hanno blindato la natura totalmente pubblica della società istituita per progettare e realizzare gli investimenti nelle infrastrutture idriche del Sud Italia.

Manca però il grande passo, appunto la riforma del servizio idrico integrato. E su questa inerzia dobbiamo essere severi. Severi anzitutto con noi stessi, parlo del Movimento 5 Stelle, che doveva pretendere quella riforma a ogni costo. L’acqua è la prima stella, quella da cui il Movimento stesso ha preso le mosse. E come tale avrebbe dovuto essere trattata. Durante l’esperienza del Conte I ho auspicato che la legge sull’acqua rappresentasse per il Movimento un’assoluta priorità, per intenderci come quello che il decreto sicurezza rappresentava per la Lega. Così non è stato.

Con la nuova stagione politica abbiamo un’opportunità. Sono infatti convinto che sui temi legati ai beni comuni e all’ambiente la collaborazione tra il M5S e il centrosinistra possa innescare quel cambio di passo atteso da anni. Parliamo di punti identitari per il Movimento ma anche di questioni a cui è sensibile chi si riconosce in una cultura di sinistra, ma a cui non sono state date risposte adeguate negli anni. È tempo di darle. L’acqua pubblica rappresenta proprio il terreno su cui misurare il senso stesso dell’attuale formula politica.

La stagione di rilancio che si apre – anche grazie allo stanziamento di risorse del Recovery Fund – può e deve essere l’occasione per riparlare in modo serio e programmatico di beni comuni, della loro tutela e valorizzazione, a partire dalla messa in sicurezza delle reti idriche. Occorrono molti più investimenti sull’infrastruttura rigorosamente promossi, indirizzati e supervisionati da soggetti pubblici.

Riparta subito il dialogo e poi il lavoro in commissione. Per parte mia farò tutto il possibile per stimolare il confronto e raggiungere quell’obiettivo irrinunciabile che consiste nel dare al Paese una legge modello per il decimo anniversario del referendum sull’acqua pubblica.


Lettera aperta di E. Molinari al presidente della Camera Roberto Fico (dal Manifesto del 17.11.20)

28 novembre 2020

Mi chiamo Emilio Molinari e sono tra i fondatori del movimento dell’acqua in Italia. Mi rivolgo a lei perché tra poco il Parlamento con il Recovery Fund deciderà dove collocare ingenti investimenti pubblici e perché lei a proposito degli Stati Generali del suo movimento, ha affermato: «Bisogna ripartire dai programmi e affermare i nostri principi». Domandandosi: «Perchè non si fanno le leggi sull’acqua pubblica ….?»

Lo chiedo a lei. Perché? E perché non si parla del disastroso stato delle reti idriche italiane. Governo, Parlamento, partiti, sono attraversati da contrasti feroci su questioni inconsistenti, ma sulla dispersione di tanta l’acqua potabile, nessuno parla e picchia i pugni sul tavolo. Le nostre reti idriche sono uno scandalo europeo, oggetto di ben due infrazioni. Perdono il 42% del liquido vitale e basterebbe ci si allineasse agli standard europei, per avere un aumento del 30% della disponibilità.

Siamo ad un secondo look down e il 10% dei cittadini italiani ha problemi di accesso all’acqua potabile (v. articolo del 12 scorso su il manifesto di Alex Zanotelli). Con l’ingresso dei privati nelle aziende idriche gli investimenti sono praticamente crollati: 32 euro per abitante all’anno, contro la media europea di 100 euro ( 130 euro nei paesi nordici).

Nell’estate del 2017 dieci Regioni hanno dichiarato lo stato di calamità idrico. Umbria, Lazio, Basilicata sono state attraversate da crisi idriche, in Calabria e Sicilia, ben il 36% delle famiglie denuncia sistematiche irregolarità nell’approvvigionamento. L’acqua potabile è il primo e più antico presidio sanitario dell’umanità. La principale profilassi contro il diffondersi delle pandemie. Gli scienziati ci raccomandano: lavatevi le mani ripetutamente! Per la metà della popolazione del mondo, questo appello suona come una presa in giro, ma lo è anche nel nostro paese, per chi non può pagare tariffe e acqua minerale, sempre più care o per chi vive in città dove l’acqua spesso non arriva ai rubinetti o vive in baraccopoli di lavoratori immigrati.

È una «grande cecità» politica che denuncio. E mi rivolgo a lei nelle sue molteplici vesti:
– di dirigente di un movimento che ha messo nelle sue stelle fondanti, l’acqua pubblica.
– di Presidente della Camera dei Deputati, che ha il dovere di richiamare tutti i partiti al rispetto delle volontà popolare;
– di esponente di un partito che governa il paese e che, se vuole, ha tutte le condizioni per imporre certe scelte;
– di leader di un movimento che ha fatto della democrazia diretta e dei referendum la bandiera di una nuova sovranità popolare.
Ora che le istituzioni sono chiamate a decidere a quali interventi pubblici dare priorità: Sanità, Scuola, Trasporti, Recuperi ambientali., sono priorità che stanno in cima ai miei pensieri, mi chiedo solamente: perché non si parla mai di investimenti per le reti idriche da riparare e …«Se non ora quando» ne parliamo?

La rete idrica in mano a Suez/Veolia, Caltagirone, Pisante è come la sanità privatizzata e la rete stradale in mano ai Benetton, tutti hanno incassato profitti e tutti hanno lasciato cadere a pezzi le reti. Finanziare con danaro pubblico la riparazione delle reti è un dovere della politica e impone di riprendersi le quote dei privati e restituire al pubblico, ai Comuni, alle aree metropolitane la gestione.

La crisi idrica è come una pandemia planetaria e ci stiamo seduti sopra. Genera già un milione di morti all’anno, 700 milioni di profughi entro il 2030 e profitti enormi a poche multinazionali. La politica ha volutamente ignorato che il referendum del 2011 è stato l’evento tra i più politici e inclusivi del nostro tempo. Per un momento abbiamo assistito ad un sussulto di umanità di un popolo trasversale. Una esperienza come direbbe il papa: «Nata dal basso, dal sottosuolo del Pianeta»…che si è imposta sui partiti. Un moto popolare di fraternità universale….umiliato dall’indifferenza.

Nel 2021 saranno passati 10 anni da quell’evento e mi chiedo: possiamo sperare in qualche segnale forte da parte della politica o almeno da parte di qualche suo esponente di rilievo o tutta la speranza e il coraggio umano, lo dobbiamo delegare ad un vecchio papa e alle sue Encicliche che in pochi hanno letto?

*Questa lettera è stata inviata più di 10 giorni fa al presidente Fico, che non ha risposto. Senza la sua risposta gli annunciavo che sarebbe stata resa pubblica.